domenica 21 agosto 2011

Il primo polizziotto d'Italia

<<Siamo stati chiamati perché qualcuno aveva sentito dei rumori venire dalla Galleria, per controllarla tutta ci eravamo divisi e dato appuntamento all'ingresso. Dopo alcuni minuti, appena superato la gioielleria, un rumore, mi volto pensando si tratti del collega, invece un uomo in passamontagna mi punta una lupara a 5 centimetri dal naso. Alle sue spalle compaiono 2 complici che mi levano la pistola e il caricatore della mitraglietta. Quello con la mia pistola me la punta alla nuca, gli altri due spariscono: devono finire il lavoro in gioielleria. Non voglio morire, ma sento che poi non m'importa più di tanto, però il mio sequestratore (forse il palo) mi parla e la sua voce è come ipnotica per me. Sembra gentile, mi dice che non vuole uccidermi, che devono solo finire il colpo, in maniera pulita, ed andare via, a casa loro, pure io sarei tornato a casa - mi diceva - da mia moglie e dai miei figli, e da mia madre. Non avevo né moglie né figli a casa ad aspettarmi, e di mia madre in quel momento non m'interessava più di tanto, fossi morto si sarebbe consolata con gli altri figli e nipoti. Però la sua voce effettivamente m'imbambolava, non riuscivo a pensare, a guardarmi intorno. Era come se il cervello non riuscisse a gestire nient'altro che la paura e le sue parole, cui dovevo prestare attenzione perché da esse poteva dipendere la mia vita. Dall'orologio fuori un negozio mi accorgo che son lì da un quarto d'ora. Il mio collega dovrebbe aver finito il giro e dovrebbe essere all'ingresso. Se solo potessi avvisarlo! A circa sette metri da me c'è una rampa di scale di servizio, so a cosa porta, da ai locali tecnici sottostanti, da lì potrei arrivare all'ingresso facilmente e chiedere aiuto, potrei usare la radio che ho sulla spalla e avvisare la centrale, potrei... potrei... Ma sono quì, con la mia pistola alla nuca. La mia pistola? La mia pistola ha la sicura e non ha il colpo in canna, appena sfilata me l'hanno subito puntata addosso, forse quello che me la punta non sa nemmeno come si usa. Quasi mai i pali hanno un'arma propria, spesso sono persone che non saprebbero nemmeno usarla un'arma, e che comunque non hanno mai fatto rapine o atti violenti. Secondo me ha più paura lui che io! Forse riesco ad arrivarci a quelle benedette scale. E se invece quella non fosse la mia pistola? Se fosse una sua arma carica? Mentre penso a questa possibilità, mi sono già messo in azione, mi sono girato di scatto e l'ho scaraventato a terra con tutta la forza della mia paura, in un balzo sono alla rampa e salto giù. Cado, mi rialzo di scatto, con una spallata apro la porta e la richiudo alle mie spalle. Il tempo scorre rallentato, non passa mai, mi sento lucido e consapevole, però non ho coscienza di cosa mi sia intorno, tutto è sfumato e poco nitido, e il buio non m'aiuta. Mentre raggiungo l'uscita mi accorgo di provare un forte dolore alla testa ed alla spalla destra, forse è slogata, ma non c'è tempo, devo riemergere in fretta dal seminterrato, prima che giungano i ladri alle mie spalle o dalla superficie. Prendo pure la radio per avvisare la centrale, ma si deve esser rotta nella caduta. Ecco l'uscita. Vedo il mio collega, gli dico che c'è una rapina in corso alla gioielleria. Lui corre avanti ad armi spiegate, io lo seguo arrancando e zoppicando, non ho fiato, mi fa male la milza e pure le gambe, ad ogni passo la testa sembra esplodermi. Mi accorgo di avere ancora il mitra, senza caricatore, al collo. Il palo è ancora per terra, il mio collega gli è addosso e lo ammanetta. La pistola gli è caduta di mano, a 5 o 6 metri di distanza. Li vedo bene in lontananza, quando ecco che tra me e loro si frappongono i complici, lupara spianata che punta le spalle del mio collega. Non si accorgono di me. Prima ancora che possano dirgli nulla alzo il mitra, scarico, con la sinistra, ed urlo di gettare le armi o sparo, gli dico che è finita, sono circondati e sono in arrivo i rinforzi. Loro ubbidiscono. Il giorno dopo il giornale radio titolava "sventata la rapina del secolo", finii su tutti i giornali e fui premiato dal capo della Polizia. Un giornale titolò che ero "il primo poliziotto d'Italia", uno che ferito e disarmato salva il collega e sventa una rapina facendo arrestare tre pericolosi delinquenti. Ero un eroe.
Pure oggi sono disarmato, ma non mi sento più un eroe... ho poco più che quarant'anni e non riesco più ad alzarmi dalla sedia a rotelle, a malapena mi alimento e fatico a farmi capire quando parlo.
Maledetta malattia, non mi ha rapinato delle gambe e la libertà, mi ha portato via la sicurezza di essere un eroe>>.